Sindrome post-Covid: un malessere che dura ben oltre la guarigione dalla malattia
Che il Covid-19 non sia una malattia paragonabile all’influenza è ormai chiaro. La similitudine sta nella possibile parità di sintomi, come febbre, raffreddore o tosse. Ma il nuovo coronavirus, autore della pandemia che ci tiene in bilico da più di un anno, è qualcosa di ben differente. Da indagare infatti, sono anche la situazione e lo stato d’animo in cui si trovano le persone una volta guarite dal Covid. Ciò che appare dagli studi clinici e dalle testimonianze è che al tampone negativo dopo giorni di positività, non corrisponde una vera e propria guarigione. I sintomi e la salute mentale seguenti alla negatività hanno infatti un nome preciso: si tratta della sindrome post-Covid, una sorta di “altra malattia” che colpisce chi è stato contagiato dalla Sars-Cov-2.
A spiegare le caratteristiche della sindrome post-Covid, che si manifesta soprattutto con stati di ansia e alterazioni a livello psicologico, è la dottoressa Barbara Bruni, referente della linea di supporto psicologico per il Covid attivata dall’Ausl di Parma – servizio contattabile al 3396860219 o alla mail psicologia.salute@ausl.pr.it -. Inoltre, ci siamo messi in contatto con alcune persone, che hanno testimoniato nel dettaglio le condizioni della loro vita quotidiana una volta guariti dal Covid. Secondo i dati ufficiali riportati da Il Sole 24 Ore, i guariti in Italia da inizio pandemia sono più di 3 milioni, ma “secondo la rivista The Lancet Psichiatry (aprile 2021) la sindrome, detta anche Long-Covid, colpisce non pochi pazienti che sono risultati positivi all’infezione“, spiega Bruni.
“Tosse, stanchezza e ansia che non vanno via: il Covid non è uguale alle altre malattie”
Una delle ragazze, 23enne, che abbiamo contatto, ci ha confessato di aver ricevuto il primo tampone positivo il primo marzo dopo un mese e mezzo di positività. “Dopo tutti questi giorni ho ancora stanchezza e affanno se faccio un po’ di movimento. La sera mi torna spesso la tosse e sono costretta a fare l’aerosol o prendere lo sciroppo per calmarla“, spiega . Tutta la sua famiglia si è contagiata lo scorso gennaio e suo padre quasi 60enne ha passato anche alcuni giorni ricoverato in ospedale: “Essendo stato ricoverato credo abbia ricevuto cure più mirate, in famiglia è quello che ha meno ripercussioni. Mentre mia mamma è ancora molto debole e la temperatura fatica a salirle sopra 35.8“. Suo fratello invece è il primo a essere guarito dal Covid, e anche colui che ha avuto i sintomi più lievi, “anche adesso quindi si è già ripreso, è una cosa molto personale che dipende da individuo a individuo“.
Anche un’altra ragazza di 24 anni racconta che i genitori sessantenni hanno fatto fatica a liberarsi dalla tosse anche una volta guariti, mentre per lei la cosa più difficile è stata affrontare “lo stress di tornare alla normalità e l’ansia di poter essere evitata dalle altre persone“. Come spiega la dottoressa Barbara Bruni, che non ha seguito le persone intervistate dalla redazione, ma è a contatto con molti pazienti attraverso il servizio psicologico dell’Ausl, la pandemia ha causato reazioni fisiologiche ben precise. Queste sono riprodotte su larga scala e vanno da sensazioni di insicurezza e confusione, a senso di colpa per essere causa di contagio o senso di emarginazione, tutte condizioni che non sempre finiscono quando si guarisce dal Covid. “Stanchezza, debolezza, fiato corto e affannoso, alterazioni dell’umore, stati di ansia, depressione, cefalea, insonnia, difficoltà di memoria: sono tutti sintomi che vanno a costituire quella che è identificata anche dal Lancet Psichiatry (aprile 2021) come una vera e propria sindrome Post-Covid“, chiarisce Barbara Bruni.
La specialista inoltre, spiega che le reazioni fisiologiche possono anche tradursi in una serie di stati psico-emotivi-comportamentali, “come stress, isolamento, condotte malsane, uso eccessivo di sostanze stupefacenti o comportamenti disadattativi quali il mancato rispetto delle direttive di salute pubblica, come il confinamento in casa, le vaccinazioni, l’utilizzo della mascherina, nelle persone che contraggono la malattia e nella popolazione in generale“. Fino a portare a sviluppare condizioni psichiatriche, non solo dovute alla salute psico-fisica ma anche per “la ripresa socio-economica e culturale“. Oltre quindi a sintomi fisici, le persone che contattato il supporto psicologico post-Covid, hanno anche maturato sentimenti negativi come “rabbia, colpa, difficoltà nelle relazioni interpersonali, sensazione di costante malessere ed estraneità, che non si erano invece evidenziati durante la prima fase pandemica“.
L’incognita del 21esimo giorno: quando la quarantena finisce ma non si è ancora negativi
Secondo le direttive sanitarie e le evidenze scientifiche, dopo il 21esimo giorno di quarantena non si è più contagiosi. Coloro che quindi hanno affrontato la malattia e sono stati confinati in casa, si sono visti arrivare dall’Ausl una comunicazione il fatidico giorno numero 21: la quarantena è finita, non si è più contagiosi. A questo però non sempre corrisponde un tampone negativo, e questa situazione di stallo, di libertà ma di ansia, getta spesso le persone in una condizione di insicurezza e stress emotivo. È il caso di una ragazza 24enne, che anche se non ha avuto sintomi gravi durante la positività, ha dovuto affrontare con la massima difficoltà il 21esimo giorno. “La cosa che mi è rimasta di più della mia esperienza con il virus,” afferma, “è stato il trauma di finire la quarantena senza sapere effettivamente se fossi guarita: non mi sentivo certa di non essere più contagiosa“.
Anche un’altra persona di 25 anni racconta di aver avuto ricadute complicate sull’aspetto psicologico in corrispondenza alla seconda positività al tampone: “Ho dovuto quindi aspettare i 21 giorni per finire la quarantena, ma anche dopo ho sentito la gente starmi lontano ed è stato pesante tornare tra la gente“. La testimonianza della ragazza 23enne è più o meno sulla stessa linea: “Il giorno 21 ho sentito molto stress. Il confinamento era finito ma provavo molto disagio perché ancora ero positiva, anche se a bassa carica. A mia mamma che ha chiesto cosa potesse fare al 21esimo giorno, hanno detto che poteva uscire e andare anche a fare la spesa“. “Ci hanno raccomandato comunque di stare lontani dai nonni per sicurezza, e aspettare la negatività per andare a trovarli. E conclude: “Comunque mettendo piede fuori casa ci sentivamo in colpa quindi abbiamo limitato il possibile i nostri spostamenti“.
La dottoressa Barbara Bruni infatti, spiega che l'”autorizzazione a uscire” il 21esimo giorno, “può portare a sperimentare disorientamento interno con quote di ansia più o meno fisiologica legate alla necessità di riadattarsi, talvolta tollerate dalla persona altre volte invalidanti, con interferenze più o meno significative nella quotidianità“. Al contrario, chi ha sperimentato la quarantena come “prigionia“, può adottare comportamenti rischiosi nel momento in cui viene “liberato“. Infine, illustra Bruni, dopo il 21esimo giorno si possono ancora provare i sintomi della malattia o la classica “nebbia cognitiva” della sindrome post-Covid, che consiste nel provare fatica a riprendere i ritmi e le attività di routine della vita normale. “Spesso serve un bisogno costante di rassicurazione,” conclude Bruni, “che deve tranquillizzare circa i dubbi e le incertezze del ritorno alla vita normale: ‘Sarò in grado di fare le corse?’, ‘Posso toccare le superfici?’, ‘Sono diverso dagli altri, che vedo normali?’, ‘Si vedrà che ho avuto il Covid?’“.
“Tutto il sistema pubblico deve potenziare competenze e risorse psicologiche”
Il lato psicologico quindi, sembra essere il più marcato della sindrome post-Covid. Il rapporto tra Covid e reattività psicologica tuttavia, può dipendere da molteplici fattori relativi al contesto del singolo, come la storia personale, le condizioni sociali, economiche e i fattori biologici, come sesso, età e patologie già preesistenti. Come annuncia Barbara Bruni: “Il nostro osservatorio provinciale delle persone che accedono all’UOC di Psicologia Clinica e di Comunità – Servizio di Psicologia presso l’Ospedale di Vaio (più di 5000 interventi nel 2020 e più di 400 chiamate ricevute da gennaio a marzo 2021), i soggetti che risultano maggiormente esposti al rischio di ricadute a livello psicologico o di attivare una quota di malessere e disagio, mai provato prima, sono quelli che hanno vissuto in prima persona la malattia o che ne sono entrati in contatto in modo diretto/indiretto, con famigliari malati o deceduti“.
Il Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford ha inoltre pubblicato una ricerca su The Lancet Psychiatric, in cui è emerso che “circa una persona su cinque ha disturbi psichiatrici tra le due settimane e i tre mesi dopo la diagnosi della malattia“. E a conferma di tale dato, come spiega la dottoressa Bruni, ci sono i dati dell’Ospedale di Vaio: il 25% delle persone intercettate ha un disturbo psichiatrico conclamato, mentre la maggior parte delle persone (circa il 75%) si sono mostrate resilienti, manifestando fragilità fisiologiche e reattive che non si sono tradotte in una psicopatologia. Particolare attenzione inoltre, va posta ai numerosi operatori sanitari che lavorano a contatto con il virus: “Non necessariamente tali persone hanno una pregressa vulnerabilità ma l’impatto con i carichi di lavoro e le situazioni emotivamente dense mettono a dura prova la tenuta psichica e la capacità di resilienza, già elevata e specifica per coloro che scelgono tale professione“.
La pandemia quindi, provoca molteplici ricadute, e in generale tutta la popolazione è sottoposta a una situazione di emergenza. Contrarre il virus può provocare, oltre che ai sintomi dell’infezione, anche una sindrome post-Covid, ma in tutte le persone si verifica un sentimento di incertezza nei confronti del futuro e dell’immediato. Per questo, dice infine Bruni, “è necessario che tutto il sistema pubblico, sanità, scuola, welfare, potenzi competenze e risorse psicologiche, oggi più che mai, per contenere i danni psico-emotivi-comportamentali e relazionali della pandemia, orientandosi verso scenari del post-pandemia connotati da resilienza, cittadinanza attiva e consapevolezza post-Covid e di ricostruzione“.