Peste Suina, il Servizio Veterinario dell’Ausl: “Monitoraggio continuo”
Come si sta fronteggiando l’emergenza PSA nel nostro territorio provinciale? Ne abbiamo parlato con il Servizio Veterinario dell’Ausl di Parma

Da poco più di un anno parte del territorio della provincia di Parma è interessato dall’epidemia di peste suina, una malattia virale che colpisce suini e cinghiali. Pur non essendo trasmissibile all’uomo, si tratta di un’epidemia che può causare diverse problematiche nel nostro territorio, soprattutto in relazione alle attività economiche degli allevamenti dei suini: ad oggi, infatti, non esiste un vaccino e la letalità, nel caso in cui i suidi contraggano il virus, è alta, al settore della trasformazione delle carni suine causa la chiusura di mercati di esportazione. L’epidemia è gestita a livello nazionale dal Ministero della Salute, che ha nominato un commissario straordinario, Giovanni Filippini ed è stato redatto un Piano Nazionale di Sorveglianza ed Eradicazione della PSA 2025-2027; a livello locale la messa in pratica del Piano è coordinata dal Gruppo Operativo Regionale e dai Gruppi Operativi Territoriali, sul nostro territorio è operativo il GOT di Parma.
La peste suina: breve excursus sul virus
La peste suina africana (PSA) è un virus che appartiene alla famiglia Asfaviridae, rimasto immutato da oltre quarant’anni. I suidi – sia suini d’allevamento sia cinghiali selvatici – che ne vengono a contatto sviluppano febbre, perdita di appetito, debolezza, emorragie interne: solitamente il decesso avviene entro dieci giorni dall’insorgenza dei primi sintomi. Si tratta di un virus capace di sopravvivere per lunghi periodi nelle secrezioni degli animali, nelle carcasse, nelle carni fresche e congelate; la cottura a temperature superiori a 70 gradi è invece in grado di inattivare il virus. L’infezione avviene direttamente, a seguito del contatto con altri animali infetti tramite secreti ed escreti, oppure indirettamente, con l’ingestione di carni suine infette o contaminate dal virus.
Servizio veterinario di Parma in prima linea per la lotta alla PSA
Tra i membri del Gruppo Operativo Territoriale della provincia di Parma c’è anche il Servizio Veterinario dell’AUSL di Parma. Insieme al dottor Marco Pierantoni, direttore del dipartimento di Sanità pubblica, e al dottor Cosimo Paladini, direttore del servizio veterinario di Sanità animale, abbiamo approfondito la situazione relativa alla peste suina nella provincia di Parma, analizzando quelle che sono le azioni messe in campo per fermare l’avanzata del virus.
Qual è l’attuale situazione in provincia di Parma in merito alla peste suina?
Da più di un anno la nostra provincia è il confine est del focolaio di peste suina africana nel cluster di infezione del nord Italia. Quella che ci troviamo ad affrontare è una situazione in continua evoluzione, che presenta un contenimento e regressione dell’espansione a nord e verso la città di Parma. Negli ultimi giorni sono stati esclusi dalla zone di restrizione I della Provincia di Parma i comuni di San Secondo, Traversetolo, Montechiarugolo e una parte del Comune di Parma. La zona ad oggi più critica è quella della montagna, in particolare nella zona di Borgotaro e di Berceto, dove si ritrova la maggior parte di casi positivi nei cinghiali. In base alla normativa europea, le zone sono così suddivise:
- Zona I: Senza casi né focolai di PSA, sono aree “cuscinetto” che si trovano tra una zona infetta e una libera da infezione
- Zona II: Presenza di focolai solo nel cinghiale
- Zona II: Presenza di PSA sia nei suini domestici sia nei cinghiali
Per quello che riguarda i dati, la situazione è in continuo aggiornamento poiché le attività di monitoraggio e di prevenzione proseguono giornalmente. In provincia di Parma, con dati aggiornati all’8/4/2025 sono stati rinvenuti 248 cinghiali positivi (a questo link i dati aggiornati in tempo reale: ); mentre per quello che riguarda i suini domestici non sono stati registrati casi nel parmense.
Come si sta procedendo con le attività di monitoraggio e prevenzione?
Il Gruppo Operativo Territoriale provinciale (GOT) coordina le attività di monitoraggio dei cinghiali sul territorio, in collaborazione con la Polizia Provinciale e con il supporto de gli ATC.; Inoltre è compito del Servizio Veterinario dell’AUSL mantenere sotto controllo le misure di biosicurezza messe in atto negli allevamenti. Sulla base dell’ordinanza del Commissario Straordinario sono state previste delle azioni di monitoraggio e di sorveglianza attiva che vengono svolte anche sul nostro territorio, con l’ausilio di cani molecolari: per ricerca attiva si intende la ricerca delle carcasse sul territorio; carcasse che poi vengono testate per cercare l’eventuale positività al virus e che ci permettono di sapere come si sta muovendo la PSA sul nostro territorio. Allo stesso tempo viene effettuata anche una attività di cattura degli animali vivi, che viene effettuata con l’ausilio di trappole. Una delle cose fondamentali che viene fatta in questa fase è anche lo smaltimento delle carcasse, che devono essere tolte dall’ambiente per evitare la diffusione del virus.
Quali sono e come funzionano i centri di smaltimento delle carcasse in provincia di Parma?
I punti di raccolta per le carcasse di cinghiale sono due, entrambi nel territorio del distretto Taro-Ceno dove c’è la maggior presenza di capi positivi. Sono strutture attrezzate e recintate per raccogliere in sicurezza le carcasse di cinghiale e procedere ai relativi campionamenti da sottoporre a test nei laboratori dedicati. Periodicamente, poi, le carcasse vengono inviate in centri specializzati per la distruzione.
Quando vengono ritrovate le carcasse, gli operatori le inseriscono in appositi contenitori che vengono poi sigillati per evitare che possano contaminare l’ambiente nelle movimentazioni. La zona intorno al ritrovamento viene disinfettata, così come anche le scarpe di chi ha effettuato il prelievo, e a quel punto viene portata al centro di raccolta dove vengono effettuate le analisi. Per ogni ritrovamento vengono inoltre compilate schede specifiche, che ci permettono anche di geolocalizzare dove è stata prelevata la carcassa o i resti dell’animale.
Quali esami vengono fatti per stabilire la positività dei capi, in riferimento ai cinghiali?
I test stabiliscono se il cinghiale è positivo al virus della PSA. L’organo di elezione è la milza, che viene prelevata dalla carcassa ed inviata al laboratorio. Qualora non sia possibile prelevare la milza, si può prendere un osso lungo oppure altri organi come i reni. I campioni vengono poi analizzati da un laboratorio particolarmente attrezzato dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia – Romagna di Modena, al quale vengono inviati i campioni prelevati: solitamente le risposte si hanno nel giro di 24/48 ore. Nel caso in cui ci siano situazioni sospette oppure c’è stato un ritrovamento in una zona indenne i campioni vengono inviati al laboratorio dell’IZS di Perugia che è il centro di referenza nazionale per la PSA.
Negli allevamenti quali misure di prevenzione aggiuntiva sono state prese per tutelare l’indotto? Ci sono strumenti di prevenzione medico veterinaria da attuare?
Per impedire l’accesso del virus in allevamento sono messe in atto misure di biosicurezza sia strutturali che gestionali: ad esempio il controllo della movimentazione dei capi suini e il campionamento sui capi morti in allevamento. Come Servizio Veterinario eseguiamo controlli nelle aziende a cadenza settimanale. Quello di aprile e maggio, lo abbiamo visto negli anni passati, è il periodo più difficile da gestire perchè è quello in cui il virus si diffonde di più: iniziano i lavori agricoli nei campi e questo potrebbe contribuire alla diffusione del virus poiché anche i mezzi agricoli possono entrare in contatto con carcasse e di conseguenza “trasportare” il virus. Nel caso in cui venga riscontrato all’interno di un allevamento un capo positivo, è necessario abbattere anche agli altri capi: basta un solo capo per dichiarare il focolaio. Non esiste un vaccino per la PSA. A differenza di altre malattie da virus, la PSA è una malattia che è rimasta invariata da oltre 40 anni, senza nessuna mutazione o salto di specie; a rendere difficile la sua gestione è soprattutto la sua diffusione tramite il selvatico, che è complicato arginare.
In merito alle attuali misure intraprese sul nostro territorio, in particolare le gabbie e le reti di protezione dell’A15, pensate siano sufficienti per contenere le zone oppure siano necessarie altre misure?
Le strategie attuate sul campo sono diverse, tutte coordinate dal Commissario Straordinario. In primis si va a rafforzare le barriere naturali ed artificiali, come le autostrade: sul fronte provinciale noi abbiamo due Autostrade: la A1 e la A15, sulle quali stiamo lavorando per fermare l’espansione verso est; è una zona che al momento è ancora libera da PSA e protetta e anche da un’area cuscinetto. Diversa è la situazione dell’A15 che di fatto è già un po’ compromessa in alcuni punti, soprattutto verso la Toscana, anche se la riteniamo ancora valida come barriera: le ultime carcasse che sono state ritrovate erano nei pressi dell’entrata autostradale di Berceto. C’è da tener conto che le chiusure delle barriere autostradali sono effettuate dal Ministero dei Trasporti, ma ci sono delle zone che sono sotto il controllo degli enti fluviali e di bacino e che non possono essere chiusi poiché sarebbe pericoloso in caso di inondazione.
Quello che serve è un lavoro combinato, con diverse strategie. Oltre alle già citate barriere e attività di ricerca attiva, c’è anche l’uso di trappole per catturare i cinghiali e presidiare punti che non possono essere chiusi, come ad esempio i viadotti. In provincia di Parma abbiamo a disposizione nove trappole di una tipologia che possono catturare fino ad un branco di cinghiali e quindici tradizionali, predisposte per un massimo di uno/due animali. Queste gabbie sono monitorate dalla Polizia Provinciale con le fototrappole e, nel caso in cui vengano catturati i cinghiali, viene mandato sul posto personale autorizzato per l’abbattimento.
Infine, nelle zone lasciate libere dal virus, sono previste attività di depopolamento, previa autorizzazione dalla Polizia Provinciale e dal Servizio Veterinario, con modalità di sparo selettivo notturno, con appostamento fisso ed apposita strumentazione ad infrarossi. Rimane vietata la caccia nelle modalità di girata o braccata, con l’ausilio di cani, poiché provocherebbe lo spostamento di animali e quindi la diffusione del virus.
La “lotta” alla peste suina prevede una rete di diversi enti, come funziona l’organizzazione?
Si tratta di un’organizzazione complessa in quanto coinvolge la Commissione Europea, che attua regolamenti specifici per la gestione del virus, il Ministero della Salute e il Commissario Straordinario per la PSA, oltre che alle Regioni e alle AUSL territoriali. Per quello che riguarda l’Emilia-Romagna è stato costituto, con una delibera regionale, un gruppo operativo regionale e gruppi operativi provinciali, quello territoriale (GOT) che è presente a Parma, a Piacenza, a Reggio e a Modena. In questi gruppi operativi collaborano i Servizi Veterinari dell’Ausl, la Polizia Provinciale, l’Ufficio Caccia e Pesca e Agricoltura, gli Enti Parchi, la Prefettura e la Protezione Civile. I tavoli di lavoro del GOT sono frequenti, circa ogni 10/20 giorni, e periodicamente allargati ai portatori d’interesse per informare sull’andamento dell’epidemia. Anche i comuni hanno un ruolo importante: i sindaci vengono coinvolti direttamente tutte le volte che c’è un interesse territoriale.
La prevenzione passa anche dalle azioni quotidiane. A breve inizierà la stagione dei funghi, come vi state muovendo per informare sulle misure di prevenzione?
Sono già state fatte sul territorio numerose campagne di informazione su stampa e siti istituzionali, così come molti incontri in collaborazione con i sindaci dei comuni della provincia. Anche le associazioni dei fungaioli e il CAI si sono dimostrati interessati ed attenti e collaborano con il GOT anche nelle azioni di segnalazione delle carcasse. Sono disponibili, nei comuni, pannelli informativi con le misure di prevenzione da attuare per chi si reca nei boschi. Anche il sito della Regione Emilia-Romagna ha un pagina dedicata alla prevenzione.
In Sardegna la peste suina ha impiegato anni per essere eradicata, ci dobbiamo aspettare uno scenario simile?
Speriamo di no. In Sardegna, il virus è stato eradicato dopo quarant’anni. Sicuramente sappiamo di avere di fronte un lavoro lungo e paziente che richiede la collaborazione di noi sanitari, ma anche dei cacciatori, del mondo produttivo e di tutti i cittadini. La strada è stata impostata bene: è un percorso lento; il commissario stesso parla di 4/5 anni, sempre che non si allarghi. Ed è questo che dobbiamo evitare.