Peste Suina, Claudio Alzapiedi (ATC PR6): “Operativi dal 2024”
Fin da subito gli ATC si sono resi disponibili per le azioni di monitoraggio, ricerca e depopolamento: ecco come funzionano

Il 31 gennaio 2024 viene ritrovata, da un cacciatore, una carcassa di cinghiale nel Comune di Tornolo: è il primo caso registrato di peste suina africana nel parmense. “Da allora – spiega Claudio Alzapiedi, presidente del’ATC PR6 – non ci siamo mai fermati“. Sono le ATC del territorio, in particolare la PR6 e la PR5, che lavorano quotidianamente al fianco dei Servizi Veterinari dell’AUSL di Parma e della Polizia Provinciale per monitorare l’evoluzione dell’epidemia sul nostro territorio provinciale. “Abbiamo immediatamente dato la disponibilità dei nostri cacciatori per il monitoraggio della zona della Val Taro e per attivare la ricerca delle carcasse: quello dei nostri iscritti – continua Alzapiedi – è un contributo importantissimo“.
Le squadre dei cacciatori si organizzano settimanalmente per le battute di ricerca: il territorio boschivo della Val Taro, rende ancora più difficile trovare gli animali “e a volte il recupero è difficoltoso e può richiedere anche diverse ore di lavoro“. Una delle problematiche, riscontrata ad inizio 2024, nel contenere l’epidemia è la mancata sospensione della caccia in Liguria: “Siamo un territorio di confine – prosegue il presidente dell’ATC PR6 – e mentre da noi la caccia era stata fermata, in Liguria era permessa; il risultato è stato che muovevano i cinghiali, potenzialmente infetti, e li mandavano sul nostro territorio”.
Come funzionano la ricerca e il depopolamento
Le attività di ricerca coinvolgono i gruppi di cacciatori, con il coordinamento della Polizia Provinciale e talvolta anche con la presenza dell’esercito e cani molecolari. “Nel nostro territorio c’è il grosso rischio dell’agrolimentare e quindi ci siamo resi fin da subito disponibili per aiutare nella ricerca e nel monitoraggio, così come nelle azioni di depopolamento. Prima riusciamo ad ottenere il risultato di arginare l’epidemia, prima mettiamo al sicuro le nostre aziende e prima possiamo anche tornare alla caccia, la nostra passione“. Nel territorio dell’ATC PR6 non sono state posizionate trappole, ma le azioni di ricerca proseguono: “Quando troviamo una carcassa – spiega Alzapiedi – la mettiamo in uno dei sacchi forniti dell’ASL, contattiamo il veterinario di riferimento che è sempre reperibile e poi la portiamo al centro di smaltimento a Bedonia. Le procedure di recupero sono rigide e precise, per evitare che possano esserci contaminazioni“.
A Tornolo, dove c’è stato il caso zero, non si registrano casi di PSA da ormai cinque o sei mesi: “Una situazione che ci permette di effettuare il depopolamento, con l’ausilio di cacciatori formati. Anche in questo caso i capi abbattuti vengono inviati ai centri di raccolta autorizzati; se sono positivi vengono smaltiti, se negativi si possono consumare“. La caccia è da sempre anche un momento conviviale e questo è uno degli aspetti più penalizzati dall’epidemia di PSA, che non permette ne la caccia in braccata ne quella in girata: “La cosa certa è che bisogna limitare il numero di animali presenti sul territorio, un’attività che va fatta in coordinamento con tutti gli enti e che deve comprendere anche le zone dedicate a parco. Chiudere la caccia solo nel nostro territorio, a posteriori, è stato un errore perchè nelle zone intorno a noi continuavano a cacciare e questo ha permesso al virus di espandersi“.
Quale futuro per la caccia?
Difficile a dirsi oggi, in una situazione che evolve quotidianamente, quando si potrà tornare a caccia. Per Alzapiedi una soluzione sarebbe quella di lasciare la caccia al cinghiale solo nelle zone di montagna, anche come strumento di difesa delle coltivazioni, e di preservare gli stabilimenti creando una zona libera dai cinghiali attorno alle aree produttive. “Auspico un ritorno alla caccia in braccata, anche se per svariati motivi credo sia una tipologia di caccia che va a finire. Cosa chiediamo? In primis che possa essere data la possibilità alle persone di venire a caccia anche da fuori regione. Prima della peste suina contavamo molti più iscritti, oggi arriviamo a circa mille in tutto l’ATC, che comprende sette comuni“. Un’altra delle richieste è la suddivisione delle zone CEV non come confini amministrativi, ma come distretti: una soluzione che permetterebbe anche di aprire più zone per il depopolamento. “Infine anche la possibilità di uscire con i nostri cani nei recinti, creandone magari di autorizzati, in luoghi dove la PSA non è presente. Non sono – afferma – cose impossibili, ma di buon senso“.
“Desidero ringraziare – conclude Alzapiedi – tutti i cacciatori che collaborano nelle attività di monitoraggio e ricerca, la Polizia Provinciale e in particolare il dottor Ruffini per la disponibilità e il confronto, i Servizi Veterinari dell’AUSL e tutti gli attori coinvolti nel Gruppo Operativo Territoriale. Sono un lavoro di squadra come quello che stiamo portando avanti, può portare a risultati importanti“.