Maria Luigia: l’eleganza della Duchessa che vestiva “alla francese”
Una grande protagonista della storia, dell’arte, della cultura e della nostra città che è entrata…
Una grande protagonista della storia, dell’arte, della cultura e della nostra città che è entrata con grande garbo, rispetto, umanità e intelletto nel cuore dei parmigiani, questa è Maria Luisa D’Asburgo Lorena che meglio conosciamo con il nome di Maria Luigia. Una donna che ha scritto, cavalcato, cambiato e rafforzato la storia della nostra città, ma anche quella dei libri e dei fatti storici a lei legati dal matrimonio per procura con l’Imperatore Napoleone Buonaparte, alla reggenza di un territorio vasto come il Ducato di Parma Piacenza e Guastalla e all’aver regalato a Parma opere dal grande fascino come il Teatro Regio, la Galleria Nazionale e la Biblioteca Palatina. Questi sono solo alcuni esempi della visione di una sovrana illuminata che dedicò a Parma il suo amore e le sue attenzioni.
Un po’ di storia…
Maria Luisa Leopoldina Francesca Teresa Giuseppa Lucia d’Asburgo-Lorena nota poi semplicemente come Maria Luigia d’Asburgo Lorena, nacque a Vienna il 12 Dicembre 1791, figlia primogenita dell’imperatore d’Austria Francesco I e di Maria Teresa di Borbone Napoli. Benché nata all’indomani della Rivoluzione francese, Maria Luigia ricevette la classica educazione riservata alle arciduchesse d’Asburgo, fu educata a ricoprire diversi ruoli, ad una cultura cosmopolita e universale. Capelli biondi, con gli occhi chiari, il labbro inferiore turgido degli Asburgo, i libri di storia come anche i racconti dei parmigiani la descrivono sensibile, insicura e perennemente alla ricerca di protezione e conferme affettive. L’11 Marzo 1810 la duchessa acconsentì alle nozze e si sposò con Napoleone e ricoprì così i panni di imperatrice dei Francesi senza però titoli e ruoli politici.
Maria Luigia assolse l’unico compito assegnatole: dare un’erede al trono francese, così il 20 marzo 1811 nacque Napoleone Francesco, a cui fu attribuito il titolo di Re di Roma. Dopo la caduta di Napoleone, Maria Luigia, che non era più l’imperatrice dei Francesi, si mise in viaggio verso Vienna dove era chiamata per assumere la reggenza del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Il distacco dal marito non era ancora del tutto compiuto; quando insistette con il padre per recarsi ad Aix-les-Bains, in Savoia, per sottoporsi a cure termali, il timore di Metternich era che potesse ricongiungersi a Napoleone. Egli decise quindi di trattenere il figlioletto di lei a Vienna e di affiancarle un uomo di sua fiducia, il generale Adam Albert conte di Neipperg, che diventerà il suo nuovo amore. Il fascino, l’intelligenza, la galanteria portarono la Duchessa di Parma ad innamorasi profondamente e per questo gli si affidò in piena fiducia anche nella tutela dei suoi interessi di sovrana: con Neipperg al fianco, in qualità di suo cavalier d’onore, il 20 aprile 1816 fece il suo solenne ingresso a Parma, festeggiata dai sudditi tra il canto del Te Deum. A Parma, dalla relazione con Neipperg, nacquero Albertina e Guglielmo.
La reggenza di Maria Luigia nel nostro territorio portò all’attuazione di lavori pubblici, beneficenza, opere caritative, funzionali a porre le basi per un’immediata popolarità. Si trattò spesso di portare a compimento progetti ideati durante il periodo francese, come il cimitero della Villetta, strade, ponti, ospizi. Fu messo a punto un nuovo codice civile considerato piuttosto avanzato che entrò in vigore il 1° luglio 1820. Nel 1829 fu inaugurato il monumentale Teatro Regio. Il 22 febbraio 1829, con la morte di Neipperg, iniziò il lento declino della Duchessa: nessuno dei funzionari austriaci che vennero dopo di lui fu in grado di svolgere con analoga abilità la funzione di mediazione tra le direttive di Vienna e le aspettative locali. Il primo a succedergli, il barone Verklein, fu forse il peggiore di tutti. Detestato dalla popolazione parmigiana, riuscì a convogliare contro di sé la protesta della piazza nel febbraio 1831. L’adesione di Parma ai moti liberali costituzionali ferì profondamente Maria Luigia, che mostrò nell’occasione una determinazione e una dignità non prevedibili. Il 1831 rappresentò una cesura irrimediabile. In questo clima teso, fu colpita nella sfera privata prima dalla morte prematura del figlio Napoleone Francesco, stroncato dalla tisi a 21 anni nel 1832, poi da quella del padre, nel 1835. Maria Luigia morì a Parma il 17 dicembre 1847 di pleurite reumatica.
La moda parigina
La Duchessa Maria Luigia vestiva alla moda imposta e dettata dalla capitale francese Parigi dove lei stessa aveva vissuto. Se prendiamo in considerazione il periodo di datazione che va dal matrimonio del 1814 con Napoleone per arrivare alla sua morte 1847 ci accorgiamo di quanto sia stata attenta e premurosa nel seguire i dettami francesi. Dal 1796 al 1822 la moda che si delinea durante l’impero napoleonico sopravvive all’impero stesso e si protrae ancora per qualche anno dopo la sua caduta: è una moda che si discosta totalmente dal passato abbandonando tutte le modifiche artificiose del corpo femminile in favore di una linea sciolta e naturale. Eliminati busti steccati e panier, la biancheria si riduce al minimo e gli abiti stessi sono leggere tuniche di chiara ispirazione classica, lunghe fino alla caviglia, di linea dritta, ampie in fondo, con un corto strascico e cinte sotto il seno. Le maniche, cortissime, lasciano le braccia nude, e la scollatura è ampia e quadrata.
Il colore prediletto è il bianco delle sculture classiche. Per la sera gli abiti si fanno più complicati con ricami in oro e argento e spesso una corta tunica aperta sovrapposta. Per proteggersi dal freddo si usano scialli di cachemire e sciarpe, ma già nel 1806, come reazione all’epidemia di influenza che colpì l’Europa, riappaiono i più caldi cappotti, ben più adatti al clima nostrano delle leggere stole di ispirazione ellenica. Intorno al 1810 l’aderenza ai modelli classici si fa meno precisa. Le maniche sono più lunghe mentre le gonne si accorciano e in fondo appaiono applicazioni di volant ricamati. Le scollature si riducono e spesso sono riempite da corte camicie accollate con balze attorno al collo. Come soprabiti appaiono corti giacchini detti spencer spesso chiusi da alamari e altri colori cominciano ad affiancare, soprattutto d’inverno, il fino allora imperante bianco. Ricompare anche la biancheria con lunghi mutandoni che fanno capolino dall’orlo delle gonne. Si calzano scarpe basse basse, totalmente prive di tacco, e scollate. Anche le acconciature si rifanno ai modelli classici.
Abbandonate le fonti neoclassiche, ci si rivolge ora al medioevo come nuova fonte di ispirazione. Le linee dell’abito abbandonano le verticalità dell’inizio del secolo per allargarsi in orizzontale. La vita e’ ora solo leggermente alta e nuovamente stretta dal busto, le gonne si allargano e si accorciano fino, negli anni ’30, a mostrare completamente la caviglia, una cortezza mai raggiunta prima. Le maniche si gonfiano dalla spalla al gomito al punto di dover richiedere intorno al 1830 imbottiture da indossare sulle spalle per sostenerne il volume. Nella seconda metà degli anni ’30 il volume delle maniche scivola però gradatamente verso il basso fino a lasciare verso la fine del decennio la spalla aderente. Il corpino e’ spesso guarnito da increspature e ha la scollatura dritta, da spalla a spalla, in genere coperta durante il giorno da una corta pellegrina, imbottita per l’inverno e leggera per l’estate. La biancheria riacquista volume e numero di pezzi. Camicia e mutandoni sono ormai considerati indispensabili e anche il busto ha fatto la sua ricomparsa anche se e’ ancora leggero, in tessuto trapuntato e con un’unica stecca centrale estraibile. Anche le sottogonne inamidate, spesso indossate in numero di due o tre contemporaneamente, sono ora indispensabili per garantire volume alle gonne. I cappelli sono voluminosi, con ampie tese decorate di fiori e nastri, spesso ben più voluminose dei piccoli ombrelli. Gli ombrellini parasole sono piccoli, spesso minuscoli, con il manico pieghevole, la calotta orientabile verso il sole, e un anello in cima per portarli al polso come una borsetta.