Magic in the Moonlight – Woody Allen e il potere salvifico delle illusioni
di Filippo Fabbricatore Siamo nel 1928, Wei Ling Soo gira il mondo con i suoi…
di Filippo Fabbricatore
Siamo nel 1928, Wei Ling Soo gira il mondo con i suoi spettacoli di magia; è in grado di far scomparire elefanti e di smaterializzarsi in un punto del palcoscenico per riapparire in un altro. Ma dietro al trucco e ai baffi posticci si nasconde Stanley Crawford (Colin Firth), un prestigiatore londinese polemico e brillante. Forte della sua natura raziocinante, Crawford non crede in niente; è ossessionato dalla mortalità perché sa che la vita non cela alcun significato, ed è pronto a polemizzare contro chiunque si lasci sedurre da pensieri infantili solo perché più confortanti. In fin dei conti ogni illusione è un trucco, e ogni trucco è un inganno.
Quando un amico gli propone di smascherare l’ennesimo medium – una giovane americana di nome Sophie Baker (Emma Stone) che sta adescando con le sue “impressioni mentali” una ricca famiglia della Costa Azzurra francese – Crawford decide di partire sotto le spoglie di un uomo di affari, deciso a dimostrare ancora una volta che il mondo non è che pura materia, una serie di meccanismi causali privi di qualsiasi scopo e magia. Tra sedute spiritiche e scambi di battute che sembrano affondi di fioretto, Sophie non sbaglierà un colpo, e il razionalismo di Crawford vacillerà fino ad ammettere che le illusioni possono addolcire la vita e ad aprirgli il cuore a vibrazioni che non è preparato a riconoscere.
In attesa del suo nuovo film (Irrational man, in uscita nelle nostre sale il prossimo 16 dicembre), Woody Allen ci regala l’ennesima commedia che dietro a un’apparenza di fresca scorrevolezza nasconde temi decisivi del pensiero filosofico occidentale degli ultimi due secoli. E così, a ben vedere, sullo sfondo dei giardini in fiore e del cielo brillante del sud della Francia a essere messi in scena sono Leopardi, Nietzsche, Foucault, e l’irrisolto scontro tra immaginazione e raziocinio, illusioni e realtà. Del resto, i Roaring Twenties stanno tramontando, la notte dei totalitarismi è a un passo, e con essa morranno in un sol colpo entrambi i contendenti, sogni e ragione, spiritualità e positivismo. Anche per questo (e qui sta il genio di Allen) è la calda e ancora accecante luce del tramonto a illuminare il teatro naturale in cui si recita. Ed è il bagliore nel momento del crepuscolo il ponte che questa storia getta al di là degli orrori del ventennio che seguirà: l’idea che il sorriso di una donna può ancora essere in grado di smantellare una stupida logica, e che in fin dei conti il mondo può anche essere privo di scopo, ma non è del tutto privo di una certa magia.