Proprio da questo connubio nasce “La Tenda”, un viaggio intrapreso all’improvviso, praticamente allo sbaraglio, per tutto il Paese con lo scopo di portare la pittura alla gente, affinché potesse avvicinarsi all’arte, uscendo dalla canonicità della mostra e instaurando un rapporto diretto tra contemplazione e momento creativo. Il dolore, la rabbia, il tormento, l’orgoglio e la speranza sono solo alcuni dei “soggetti” ritratti, che fanno da contorno a temi come il sacro, la natura e l’onestà morale. Il messaggio negli anni si è fatto sempre più speranzoso, lasciando intravedere una fiducia consistente nella vita, una fede che deve aver acquisito nei quarant’anni di “pellegrinaggio” anche grazie ai tanti giovani incontrati, a cui ha potuto fornire una testimonianza diretta sul significato di fare arte e, soprattutto, di cosa voglia dire lottare contro la mafia. Non sono mancate le difficoltà e le pressioni durante il percorso, in particolare da parte di chi ha sempre cercato di portare la cultura della violenza e la logica della lupara, ma nonostante le numerose minacce ricevute Modica ha proseguito incessantemente il suo personalissimo itinerario.
La magica esperienza della “Tenda” ha avuto però un’interruzione forzata, già, perché nonostante lui si senta ancora giovane dentro, il corpo gli ha imposto di fermarsi e dopo essere stato colpito da un malore a Bergamo, ha deciso di posare una pietra sulla tenda, erigendo quelle pareti che per una vita ha rifuggito. Oltre che sede della, ormai, mostra permanente, la canonica di San Vincenzo è diventata anche una vera e propria abitazione, che condivide con la moglie Marisa, sposata nel 1978 sotto la tenda. Le sale sono allestite seguendo la storia stessa del pittore, all’ingresso si può ammirare una bellissima “Pietà”, dipinta con tonalità di azzurro sopra una corteccia d’albero; sempre al primo piano, ma in un’altra stanza, troviamo il laboratorio e la compagna inseparabile dei molti viaggi: la tenda. Interessantissimi gli scontrini dipinti con gocce di caffè, piccole opere giovanili, risalenti a quando lavorava come cameriere in un bar di Palermo. Al primo piano si incontrano le opere naturalistiche e di condanna alla mafia, come “omertà” e “un Cristo oggi”, ma anche le tele per Falcone e Borsellino e alcuni soggetti sacri. Nell’ultima stanza l’opera più cara, quella che ha segnato l’inizio della sua avventura: la tela che ricostruisce fedelmente l’omicidio del padre.
L’opera omnia di Emanuele Modica è stata apprezzata molto, tanto da meritare appassionati e autentici commenti critici, da parte di Vittorio Sgarbi e Francesco Carbone ad esempio, oppure da scrittori e poeti quali Michele Prisco, Leonardo Sciascia, Ignazio Buttitta, ovvero da un maestro spirituale e morale come Don Luigi Ciotti. Tecnicamente si è tentato di inserirlo in una corrente, etichettandolo spesso come espressionista, ma molto probabilmente la verità è che si tratti di un’opera unica nel suo genere che, come l’autore, tenta di sfuggire ad ogni confronto e ad ogni canonizzazione.