CUCINARE IL MAIALE | Non solo arte, cultura e qualità di vita: Parma è sopratutto buon cibo; vi presentiamo il Re della tavola ducale, il maiale, con una serie di speciali puntate dedicate alla buona cucina e di un prodotto più che mai figlio del nostro territorio. In tutti gli speciali di questa rubrica tante curiosità sul maiale e sul suo allevamento, sui piatti della tradizione che è possibile gustare in città e Provincia e, perché no, qualche aneddoto, storia e leggenda legati al Re della nostra tavola.
SPALLA COTTA | Un binomio unico quello che lega Parma, la sua Provincia e la stagionatura dei salumi: l’arte della norcineria parmense trova la sua massima espressione nella creazione di uno dei più tipici prodotti locali: la Spalla Cotta di San Secondo. Della sua lavorazione se ne ha traccia già a partire dal XII secolo e prende il noma dall’abitato in cui viene prodotta. La spalla cotta si ricava dalla parte superiore delle zampe anteriori, ovvero quella che interessa la scapola e parte della coppa. Dopo aver rifilato la carne in eccesso, si arrotola e si lascia marinare per un paio di settimane con sale, pepe, cannella, aglio e noce moscata. La spalla deve essere legata, inserita in una vescica e poi legata prima di essere messa a riposo al freddo.
La preparazione prosegue dopo il periodo di stagionatura attraverso regole rituali ben precise che si ripetono da secoli: la cottura, effettuata ad una temperatura di 70°-80°, insaporisce il prodotto coadiuvata dai profumi inebrianti del vino e dell’alloro. Una spalla tradizionale, solitamente raggiunge i 7-8 kg di peso e deve cuocere un’ora per ogni chilo di prodotto. Il prodotto finale risulta morbido e profumato. Viene tagliata rigorosamente a mano e servita in due varianti: fredda e morbida. Si consuma in grandi quantità d’estate, quando le cocenti temperature non incentivano il consumo di altri salumi più grassi e pesanti. Era uno dei piatti preferiti del Maestro Giuseppe Verdi che ne faceva sempre dono a parenti e conoscenti. Si accompagna con un pezzo di fragrante torta fritta e un bicchiere di Fortana, vino tipico della bassa.
L’alimentazione dell’animale: da sempre è la più importante garanzia di qualità della carne che arriva sulle nostre tavole
“Maiale” o “porco“? Si potrebbero intendere come termini indistinti e genericamente equivalenti, ma il secondo nell’immaginario comune è carico di un significato dispregiativo. Si pensi solo ad espressioni come “porco mondo”, porco cane” e altre imprecazioni simili. Ma il termine “porco” è di certo il più corretto per descrivere il “porco domestico” che man mano che cresce prende il nome di “maiale” se destinato all’ingrasso; e negli stadi intermedi è nominato “lattonzolo“ fino allo svezzamento, “verretto” o “scrofetta” fino alla pubertà e in età adulta “verro” o “scrofa“.
Parma ai tempi dei Romani: già famosa per la norcineria
Varrone, nel suo De Re Rustica, ci parla di Parma – all’epoca facente parte della Gallia Cisalpina – e la ricorda come un luogo fiorente per l’agricoltura. Ma non solo, l’attività principale era l’allevamento di grandi mandrie di porci. E già all’epoca dei Romani – tante le testimonianze pervenute, da Catone a Orazio – le nostre valli erano famose per la qualità degli insaccati. Un’arte insomma, che si perpetua da circa 2000 anni di storia. Secondo Polibio proprio la pianura padana sarebbe il stata il massimo produttore di suini, zona ricca di querceti e produttrice di ghiande, di cui l’animale va notoriamente ghiotto. Le caratteristiche delle bestie grufolanti di allora era decisamente diversa da quella dei nostrani contemporanei. Infatti, i maiali di allora erano molto più snelli e simili ai cinghiali che affollano oggi i nostri boschi: dal muso allungato e con canini prominenti.
Per quel che concerne alimentazione e foraggio, il porco si deve nutrire di miscele a base di farina di mais, orzo, crusca, farina di soia, arricchite con vitamine e minerali, disciolte in acqua o siero di latte