Cinquanta sfumature di Porco: cucinare il maiale a Parma | SALAME

Dalle colline di Parma un biglietto da visita fatto di eccellenze: il Salame di Felino è il terzo protagonista del nostro viaggio alla scoperta della maiale e della tradizione

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CUCINARE IL MAIALE | Non solo arte, cultura e qualità di vita: Parma è sopratutto buon cibo; vi presentiamo il Re della tavola ducale, il maiale, con una serie di speciali puntate dedicate alla buona cucina e di un prodotto più che mai figlio del nostro territorio. In tutti gli speciali di questa rubrica tante curiosità sul maiale e sul suo allevamento, sui piatti della tradizione che è possibile gustare in città e Provincia e, perché no, qualche aneddoto, storia e leggenda legati al Re della nostra tavola.

IL SALAME DI FELINO | Un binomio unico quello che lega Parma, la sua Provincia e la stagionatura dei salumi: l’arte della norcineria parmense trova la sua massima espressione nella creazione di uno dei più tipici prodotti locali: il Salame di Felino. Probabilmente si tratta di una delle lavorazioni più antiche della provincia di Parma, risalirebbe, infatti, addirittura agli Etruschi. Lo indicherebbe il nome della zona di produzione: Felsinum, colonia di questo antichissimo popolo. La sapiente calibrazione delle carni – 75% magre e 25% grasse – unita alla favorevole aria temperata e umida della Val Baganza, permette la maturazione di questo autentico capolavoro.

Dopo la triturazione della pasta grossa, le carni vengono conciate con sale, pepe in grani, vino bianco e arami: poi i salami vengono insaccati nel budello gentile – ovino o suino – che gli conferisce la tipica forma allungata. La stagionatura consiste nella disposizione dei salami in locali areati e umidificati, dove si forma la tipica muffetta bianca attraverso la quale si può individuare la corretta maturazione. Il periodo di riposo ideale, prima di consumarlo, sarebbe di tre mesi, ma si può anche attendere meno e gustarlo giovane di un mesetto. Si accompagna con la classica micca di Parma, lambrusco o malvasia. Ovviamente va tagliato di sbieco.

La macellazione: un rito antico legato ad una cultura contadina sempre a contatto con la terra; l’uccisione del maiale è come un rito d’iniziazione: è il giorno dove si sacrifica un animale simpatico e buffo

Il giorno della macellazione non è sempre stato un atto meccanico e freddo, come appare il più delle volte l’atto odierno, legato al mondo industriale. Il giorno della macellazione, un tempo, era un rito d’iniziazione: il giorno in cui si sacrificava un animale goffo e buffo, quasi un membro della famiglia. Dopo mesi di lavoro, in cui il maiale – o gozén, come viene chiamato a Parma – veniva nutrito e curato quotidianamente. Perché nei mesi invernali? La tradizione si mescola con la scienza. C’è chi parla di un atto simbolico, con l’inverno a rappresentare la fine del ciclo della vita. Oggi la scienza ci spiega che le temperature rigide asciugano prima la carne, conferendo una qualità altrimenti irraggiungibile.

I maiali italiani: grassi e paffuti; hanno dimensioni doppie dei consimili d’Oltralpe o d’Oltroceano

Il maiale d’Italia – diversamente da quanto accade negli altri paesi europei – arriva a pesare quasi il doppio dei propri consimili in giro per il mondo. All’estero i porcellini raggiungono il centinaio di chili, mentre nel territorio nazionale italiano il peso varia dai 180 ai 200 chili. Il maiale nostrano si distingue, infatti, per la grande stazza, la muscolatura abbondante e gli arti robusti. La produzione di carne viene destinata principalmente alla lavorazione degli insaccati e dei salumi. Il segreto del maiale italiano? È proprio il grasso, che trasuda tutta la bontà che un maiale di stazza inferiore non conferirebbe ai nostri squisiti salumi.

L’alimentazione dell’animale: da sempre la più importante garanzia di qualità della carne che arriva sulle nostre tavole

I maiali italiani devono sottostare a particolari caratteristiche di lavorazione e territorialità: il suino da cui sono ricavati i salumi parmigiani, infatti, deve essere nutrito e macellato secondo precise regole nonché rientrare entro quella che viene definita “zona tipica“, ovvero compresa tra il fiume Enza ad Est e dal torrente Stirone ad Ovest e con quote non superiori ai 900 metri. Per quel che concerne alimentazione e foraggio, il porco si deve nutrire di miscele a base di: farina di mais e orzo, crusca, farina di soia, arricchite con vitamine e minerali, disciolte in acqua o siero di latte.

Il termine “porco” è di certo il più adatto per descrivere il “porco domestico”; ma anche “maiale” se destinato all’ingrasso, “lattonzolo“, “verretto” o “scrofetta” a seconda dello stadio evolutivo.

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