Torrechiara: il Castello dove Amore e Arte cullarono il segreto dell’eternità
TORRECHIARA | Un amore a prima vista, un Castello dove proteggerlo: Torrecchiara è questo e vi accompagniamo nelle sue stanze | FOTO
Un amore a prima vista, un Castello dove proteggerlo: Torrechiara è questo e vi accompagniamo nelle sue stanze in un viaggio lungo oltre cinque secoli
@CamillaAlderotti
CASTELLO DI TORRECHIARA | Complesso è l’intreccio di vicende che avvolge il Castello di Torrechiara, meravigliosa fortezza che dall’alto di un colle domina la Val Parma; tuttavia, quella che nei secoli ha attratto maggiormente l’attenzione è certamente la storia dell’amore tra Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini, amore che qui è fiorito e qui si è consumato sino alla fine dei loro giorni.
Torrechiara è Arte per Amore…
È proprio per l’amata che il valoroso capitano di ventura nel 1448 avvia i lavori di costruzione del Castello. I due si erano conosciuti pochi anni prima alla corte dei Visconti ed era stato amore a prima vista, tanto che Bianca aveva abbandonato tutto, terra e famiglia, in nome del suo amore per Pier Maria. Entrambi sposati per motivazioni politiche, necessitavano di un loro nido d’amore, che trovò materializzazione in questa fortezza. E di questo amore si percepisce ancora oggi la risonanza, custodito dai bellissimi affreschi che ne sono stati testimoni e suggello. Si dice che Pier Maria fosse un vero appassionato di castelli, tanto da farne costruire a decine. Egli infatti non era solo un tenero amante e valoroso guerriero, ma anche un umanista, grande amatore delle arti, ed è con il castello di Torrechiara che si superò commissionando opere d’arte per abbellire la propria dimora.
Gli affreschi
Gli affreschi più antichi e meglio conservati sono quelli che, ancora oggi, decorano la famosa Camera d’Oro. Il nome deriva dall’oro che un tempo rivestiva le formelle in terracotta con le quali le pareti della stanza sono in gran parte rivestite. L’intera decorazione ci racconta dell’unione dei due amanti, divenendo metafora di un giuramento di amore e fedeltà eterni. Le formelle riproducono cinque motivi decorativi: il leone, simbolo di Pier Maria, il castello, che allude a Bianca, il cuore e il nastro, che simboleggiano il loro amore, ed una quinta con un ornamento a crociera che funge da trait d’union fra le altre. Volgendo poi gli occhi in alto invece si assisterà al susseguirsi di scene che ci raccontano della vita privata dei due protagonisti, caso unico per l’epoca. Di grande valore storico e documentale è poi lo sfondo, il quale rappresenta a tutti gli effetti una carta geografica dei castelli del feudo: nelle vele i castelli di montagna, nelle lunette quelli di pianura. L’attribuzione di questo capolavoro rimane controversa; l’autore più proposto dagli storici rimane Benedetto Bembo, ma non manca chi ha suggerito Gerolamo Bembo o Bonifacio Bembo e addirittura il cremonese Francesco Tacconi.
…e Amore per l’Arte
Nel 1482 Pier Maria muore e il castello, dopo vari passaggi nel Cinquecento passa in mano agli Sforza di Santa Fiora. Gli Sforza non saranno da meno nel contribuire all’incremento del valore artistico dell’edificio. Sforza Sforza avvia infatti un immenso progetto di rinnovamento partendo con alcune modifiche architettoniche; dopo la sua morte, nel 1575, sarà il figlio Francesco Sforza a proseguire l’opera paterna affidando al noto pittore Cesare Baglioni il compito di rinnovare la decorazione del castello. Viene mantenuta intatta soltanto la Camera d’Oro, che si salva grazie al suo splendore. Baglioni era molto richiesto all’epoca nel territorio parmense, apprezzato per la sua fantasia e velocità d’esecuzione. Egli giunge a Torrechiara negli anni Ottanta del Cinquecento. Lo si riconosce nelle grottesche, nei motivi floreali, specialmente nel bellissimo pergolato dell’omonima stanza al piano terra e senza dubbio nelle raffinate raffigurazioni di uccelli. Baglioni era infatti, fra le altre cose, un esperto ornitologo ed a questo si deve la rappresentazione di molteplici specie di volatili sulle pareti, non solo di Torrechiara, ma di molti altri castelli nel Ducato, fra questi la Rocca San Vitale a Sala Baganza ad esempio.
Percorrendo il piano terra ecco quindi che ci troveremo prima al cospetto di un cielo aperto in cui volano decine di uccelli nella Cappella di S. Nicomede, e subito dopo circondati da bizzarre grottesche nella Sala di Giove, con il padre degli dei che ci sovrasta al centro della volta; si procede nella Sala del Pergolato, dove tralci di vite si intrecciano intorno ad uno scheletro ligneo, e nell’attigua Sala dei Paesaggi, in cui Baglioni dimostra estro anche nel genere paesaggistico e del trompe-l’oeil, per proseguire fino alla Sala della Vittoria dove l’artista bolognese celebra la pacifica coesistenza, di potere religioso e temporale, Papa e Imperatore. La prima stanza ad essere ridipinta sotto gli Sforza era stata in realtà la Sala del Velario nel 1575, che con quella degli Angeli, aveva lo scopo di glorificare la nobile casata. L’imponente opera decorativa avviata negli anni Ottanta tuttavia vede coinvolti anche altri abili pittori che lavorano al fianco del Baglioni, quali Innocenzo Martini e Giovanni Antonio Paganino, probabilmente artefice di alcuni dei dipinti nella Sala degli Stemmi. I tre sono poi contemporaneamente tutti presenti nella Sala dei Giocolieri, stanza del primo piano confinante con la Camera d’Oro, e che prende il nome proprio da quelle figurine atletiche danzanti su una delle pareti del salone.
Il percorso si conclude con quattro stanze al primo piano dette dell’Aurora, del Meriggio, del Tramonto e della Sera, dove si dispiegano incredibili panorami, ma il cui decoratore rimane tutt’oggi incerto.