Carcere di Parma, la parlamentare Ascari in visita: “Situazione drammatica” | INCHIESTA
La parlamentare del M5S Stefania Ascari in visita al carcere di Parma: “Le carceri non sono discariche sociali, ma devono essere luoghi di umanità”
Il giorno di Ferragosto un detenuto di 36 anni si è suicidato nel carcere di Parma. Si tratta del terzo caso di suicidio all’interno delle mura della casa circondariale cittadina da inizio 2023. Nell’arco dell’anno, a livello nazionale, sono stati 67 i suicidi di detenuti. Nei mesi scorsi, a Parma, c’era anche stata una protesta pacifica di 114 detenuti della sezione ‘alta sicurezza’ che, con lo sciopero della fame, avevano voluto porre attenzione sulle problematiche strutturali ed assistenziali del complesso.
Stefania Ascari, parlamentare del Movimento 5 Stelle eletta nel collegio dell’Emilia Romagna, ha fatto visita all’istituto penitenziario di Parma insieme a Simone Guernelli, esponente locale del Movimento. La visita – senza preavviso – è stata l’occasione per vedere le condizioni del carcere, annotare le criticità e poi portare in una relazione al Ministero della Giustizia. L’abbiamo intervistata – in questa prima puntata di un’inchiesta che porterà i nostri lettori a conoscere la realtà del carcere di Parma – per farci raccontare qual è la situazione.
Recentemente è stata in ispezione al carcere di Parma: quali sono le condizioni dei detenuti? Quali le criticità più importanti?
Sì, a seguito del suicidio di un detenuto avvenuto nel giorno di ferragosto, ho deciso di fare una nuova ispezione al carcere di Parma assieme al collega Simone Guernelli. La situazione che abbiamo trovato è drammatica tanto per i detenuti quanto per chi nel carcere ci lavora. Celle vecchie, maleodoranti e sovraffollate, caldo insopportabile, bagni indecorosi, assenza di progetti lavorativi ed educativi. Una carcerazione nella carcerazione. E la polizia penitenziaria, già in carenza di personale, si trova a sua volta costretta a sopperire alla mancanza di psicologi, psichiatri ed educatori e a cercare di fornire ogni tipo di supporto trovandosi così allo stremo delle forze. Impossibile lavorare bene in queste condizioni. Segnalerò quanto visto al Ministero della Giustizia.
Ha avuto modo anche di vedere i reparti del 41/bis? Lì come è la situazione?
Sì, e purtroppo ho verificato che dal punto di vista strutturale non sono a norma perché non viene assicurata l’impermeabilità delle comunicazioni. Un problema comune al resto del Paese su cui ho avuto modo di scrivere anche una relazione in Commissione Antimafia: delle 12 sezioni del 41/bis presenti in Italia nessuna è a norma, tranne Bancali-Sassari. Ciò significa che le mafie continuano a comandare anche negli istituti di pena.
Quali migliorie strutturali andrebbero apportate per migliorare le condizioni di detenzione?
Le carceri non sono discariche sociali, ma devono essere luoghi di umanità. Si chiede che siano vivibili e dignitose. Chi è detenuto sta già scontando la sua pena, non dobbiamo infliggergliene un’altra. Inoltre se le condizioni sono queste, i percorsi di rieducazione difficilmente si rivelano efficaci. Infatti in media 7 detenuti su 10, una volta in libertà, commettono di nuovo reati.
Dal punto di vista umano e relazionale come viene gestita la situazione? Ci sono attività per il recupero e il reinserimento dei detenuti? O eventuali laboratori che possono fare durante la detenzione?
No, mancano progetti lavorativi e ricreativi perché non si investono sufficienti risorse umane ed economiche nelle carceri. Non ci sono abbastanza assunzioni di operatori giuridico-pedagogici, mediatori culturali, personale sanitario, psicologi per incrementare l’attività trattamentale. Oltre la metà dei soggetti che si tolgono la vita, lo fa nei primi mesi di detenzione, perché l’impatto con il carcere è devastante, quindi sono necessari un supporto psicologico e attività rieducative costanti.
Ha parlato con la direzione o con il garante dei detenuti in merito alla situazione del carcere di Parma e anche al recente suicidio?
Purtroppo non c’è stata la possibilità, ma mi metterò in contatto al più presto con il garante dei detenuti.
Secondo lei cosa servirebbe, a livello normativo, per migliorare le carceri italiane?
Servono risorse economiche e umane ed è fondamentale intervenire sul lavoro per la riduzione della recidiva e per favorire la rieducazione, anche attraverso progetti che comprendano, ad esempio, il teatro e lo sport utili per insegnare il rispetto delle regole e degli altri, a fare squadra, a canalizzare l’aggressività. E poi la polizia penitenziaria deve essere potenziata e lo stress psicofisico a cui è sottoposta deve essere alleggerito: non si parla abbastanza dei suicidi anche nelle forze dell’ordine e armate su cui ho presentato una proposta di legge per l’istituzione di una commissione di inchiesta. Il carcere deve essere luogo di recupero e di reinserimento sociale in grado di offrire un’occasione di riscatto per chi ha sbagliato e speranza per il futuro. Oggi purtroppo non è così.