Borgotaro: l’assemblea del PD ha disposto di non avvalersi delle Primarie perché non necessarie

Borgotaro, cinque anni fa. Ricordo bene come il fenomeno “Primarie” spopolò e non solo tra simpatizzanti PD, tanto da ritenerlo un caso eccezionale (2.180 votanti) […]

 borgotaroBorgotaro, cinque anni fa. Ricordo bene come il fenomeno “Primarie” spopolò e non solo tra simpatizzanti PD, tanto da ritenerlo un caso eccezionale (2.180 votanti). Fu l’affluenza più alta di partecipanti in Italia, ovviamente in percentuale rispetto al corpo elettorale.

Ne parlai anch’io e il post del 2011 “Diego Rossi: una vittoria senza se e senza ma” ne è la dimostrazione (vedi link). Anch’io, come tanti, avevo creduto a quella svolta generazionale: “Rappresenta il “nuovo”; è giovane; è comunicativo e capace; non è un politico di mestiere; non è il solito dipendente pubblico; è la discontinuità con la vecchia ideologia politica, la stessa che ha tirato le fila da quarant’anni, ecc. ecc.”. Sono passati cinque anni e sotto il ponte di San Rocco di acqua ne è passata. E oggi, cos’è rimasto di tutti quei lieti presupposti? Il dubbio c’è e non è solo mio.

In primavera ci saranno nuove elezioni e quindi sarebbe nuovamente tempo di “Primarie”, anzi no, a Borgotaro, l’assemblea locale del PD, ha disposto di non avvalersene perché non necessarie, una scelta verosimilmente suggerita dopo una autovalutazione politica e programmatica dell’operato del Sindaco uscente. Il regolamento del PD, vede nelle “Primarie” lo strumento essenziale per la scelta dei candidati Sindaco, ma è anche consuetudine non utilizzarle nel secondo mandato se non ritenute necessarie. Per il locale direttivo, non sussistevano elementi sufficienti per indirle, almeno ufficiali. Di politica e di opportunità se ne parla anche fuori dalle sedi partitiche e una voce di tutt’altra natura è invece circolata, visto che l’alternativa c’era e aveva anche un nome: Matteo Daffadà. Ho voluto sentire anche il diretto interessato, ma non ho trovato risposte, solo un convincimento: “Adesso come adesso è mia intenzione restarne fuori”.

Questo strumento di consultazione è allora un’opzione praticabile soltanto se, quando e come risulti utile, conveniente, funzionale alle proprie esigenze? Non è da sempre considerato un sistema corretto per scegliere la classe dirigente o come “termometro” per conoscere la soddisfazione dei cittadini e il pensiero degli elettori? Ed infine, se si ritiene di aver governato bene e di aver rispettato le promesse perché non rimettere in discussione la candidatura e avviare un confronto senza rifugiarsi nelle stanze dove sono pochi a decidere?

Sarebbe stata anche un’efficace risposta alla dilagante sfiducia verso la vecchia politica. Una scelta, a mio parere, di un PD sempre e troppo autoreferenziale.

di
Gigi Cavalli

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