Affidamento condiviso dei figli: cos’è e come funziona | Due chiacchiere con l’Avvocato
Affidamento condiviso: un diritto dei figli di vivere il rapporto con entrambi i genitori; ma come funziona e sono quali le regole da rispettare?
Affidamento condiviso: un diritto dei figli di vivere il rapporto con entrambi i genitori; ma come funziona e sono quali le regole da rispettare?
Avv. Elena Alfieri – avvalfieri.elena@libero.it – DUE CHIACCHIERE CON L’AVVOCATO
DUE CHIACCHIERE CON L’AVVOCATO | La legge sull’affido condiviso ha sancito il diritto di ogni figlio di vivere il rapporto con ciascun genitore in modo completo. Tale principio di piena bigenitorialità è stato ulteriormente rafforzato con la più recente legge che ha parificato figli nati fuori e dentro il matrimonio in quanto lo ha ritenuto espressamente (e non più per analogia) applicabile nella stessa misura a tutti i figli.
In altre parole, ora – a prescindere dall’esistenza di un fisiologico conflitto tra gli ex – la legge attribuisce a ciascun genitore un identico ruolo educativo nei confronti del figlio: l’affidamento è sempre condiviso (salvo casi eccezionali) e, di conseguenza, il genitore collocatario del bambino dovrà vivere con la prole senza ostacolare l’altro genitore nel periodo di tempo in cui questi starà con la prole.
Inoltre, le decisioni di maggiore interesse (ad esempio che scuola far frequentare al figlio, che sport fargli intraprendere, a quale medico rivolgersi) devono essere prese, nell’interesse di figli, di comune accordo tra i genitori, mentre quelle di ordinaria amministrazione (ad esempio la scelta dei pasti, del vestiario, la scelta di uscir o stare in casa) sono demandate al genitore che in quel momento trascorre il tempo col bambino.
Quali provvedimenti sui figli se i genitori non si accordano?
Fatta questa premessa, va detto che è quanto mai opportuno che i genitori, nel momento in cui, a seguito della rottura del loro rapporto, si rivolgono al tribunale per chiedere di pronunciarsi sull’affidamento e sul mantenimento del figlio/i, abbiano già chiara non solo la regolamentazione generale che intendono ottenere (cioè quale dei due abiterà col i figli e la misura del contributo al mantenimento da versare), ma anche la calendarizzazione e le modalità degli incontri tra i figli e il genitore che non vivrà con loro (c.d. genitore non collocatario).
Se detto accordo non viene raggiunto spetta al giudice decidere:
- sul tipo di affidamento (se condiviso come di regola oppure esclusivo),
- sul genitore con il quale i figli resteranno ad abitare (c.d. collocazione della prole);
- sul diritto di visita del genitore che non vivrà con i figli,
- sul contributo al mantenimento dei figli.
Ciò secondo criteri in parte di massima e in parte legati a diversi fattori quali: la documentazione prodotta dalle parti (ad esempio la situazione reddituale), le richieste delle stesse (ad esempio quella di affido esclusivo), la volontà eventualmente espressa dal figlio (che, se abbia compiuto dodici anni o se, comunque, capace di discernimento, dovrà essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano).
Il giudice decide su tutto?
I provvedimenti del giudice rappresentano di solito una cornice minima dei tempi di permanenza dei genitori con i figli. Parlare di cornice minima significa che, ad esempio, il giudice può prevedere che il genitore non collocatario trascorra con il figlio almeno due giornate a settimana e determinati periodi festivi, ma non potrà indicare nel dettaglio i giorni e le esatte modalità degli incontri, che vanno comunque demandate alla scelta di buon senso da parte dei genitori e alla capacità di anteporre l’interesse dei bambini a quelli personali e al conflitto con l’ex partner. In ogni caso, quanto specificato dal giudice non va mai letto come una limitazione dei tempi di permanenza del figlio con l’altro genitore; una limitazione, infatti, può essere disposta dal magistrato (ad esempio, prevedendo che genitore e figlio si incontrino solo presso i servizi sociali) solo se vi sia prova che dalla libera frequentazione delle parti possa derivare un danno al minore (si pensi al caso in cui il bambino si mostri turbato all’idea di incontrare da solo il genitore a causa di episodi di violenza cui abbia assistito in passato).
Ciò significa che la cornice generale stabilita dal tribunale va saputa adattare alle esigenze che si manifestano nel corso del tempo ed i genitori devono pertanto adottare una certa elasticità nell’eseguire quanto stabilito dal Tribunale. Ad esempio, in una sentenza si legge che è dovere del genitore saper interpretare in modo responsabile eventuali “segni di disagio” dei figli e quindi, per esempio, riportarli dall’altro genitore, se durante la notte non riescono ad addormentarsi senza la presenza di quest’ultimo. In altre parole, occorre che i genitori si mostrino in grado di tener conto delle specifiche circostanze e necessità del figlio che di volta in volta si presentino, in quanto non è possibile che il giudice possa autonomamente prevedere in sentenza ogni dettagliata modalità dell’affidamento di un minore, così come eventuali comportamenti da assumere in specifiche situazioni.
Cosa succede se un genitore non rispetta i provvedimenti?
In ogni caso, il provvedimento del Tribunale (e quindi quello attualmente in vigore tra i genitori) costituisce un titolo che consente a ciascun genitore, nel momento in cui esso non viene rispettato da uno dei genitori, di agire in giudizio per far valere i propri diritti (ad esempio quello a vedere il bambino ove ciò gli sia impedito o ad ottenere dall’altro genitore il contributo per le spese di mantenimento, ove queste non siano versate).
Nello specifico, in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore oppure ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, il giudice può:
- modificare i provvedimenti in vigore;
- ammonire il genitore inadempiente;
- condannarlo al risarcimento dei danni nei confronti del minore o dell’altro genitore;
Contrasti tra i genitori: quali strumenti per gestire il conflitto?
Occorre invece che prima i genitori lavorino insieme sulle loro capacità di collaborare nell’interesse del figlio e solo dopo, eventualmente (ma non necessariamente) si rivolgano insieme al Tribunale, affinché modifichi i precedenti provvedimenti secondo le necessità di ciascuno. Con tale obiettivo sarebbe quanto mai opportuno – visto il rapporto conflittuale e la difficoltà nel dialogo – intraprendere, prima ancora di rivolgersi ad un avvocato, un percorso di mediazione familiare finalizzato alla miglior comprensione e gestione della bigenitorialità. Si tratta, peraltro, di una serie di incontri che non hanno carattere terapeutico, né psicologico ma che semplicemente – facendo emergere le preoccupazioni e le aspettative di ciascuna parte – potranno aiutare i genitori a comprendere in che modo trovare le migliori modalità per gestire la separazione e il rapporto con il piccolo.
Ove poi manchi una disponibilità in tal senso, l’alternativa potrebbe anche essere quella di proporre al padre del bambino di intraprendere una procedura di negoziazione assistita (ancor meglio se rivolgendosi ad avvocati formati alla pratica del diritto collaborativo) e finalizzata ad ottenere una modifica congiunta degli attuali provvedimenti in vigore. In questo modo sarà molto più facile per i genitori dare una concreta attuazione alle condizioni contenute in un eventuale nuovo provvedimento di regolamentazione dell’affidamento, fare in modo che esse non siano nel tempo disattese e soprattutto mostrarsi entrambi capaci di adattarle nel corso del tempo alle esigenze legate ai bisogni e ai tempi di crescita del bambino.